| Marlon70 |
| | | TUTTO è FUMO
Ho sempre avuto un debole per la letteratura francese dell’Ottocento. A parte la narrativa - con mostri sacri quali Balzac, Stendhal (estimatore dei nostri sigari Toscani), Flaubert - la poesia del periodo ha avuto su di me un potente effetto di fascinazione, quale nemmeno l’italiana è riuscita ad esercitare, facendomi rivivere un’epopea, se si può definire tale, i cui protagonisti erano i bohémiens e coloro che vennero chiamati poètes maudits. E allora Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, i simbolisti, Lautrèamont… tra le loro pagine respiravo i vapori dell’assenzio, gli interni dei caffè parigini, brulicanti di vita, aiutato nello scopo anche da qualche evocativa tela di Van Gogh, e poi le luci sui viali lungo la Senna, i sorrisi aggraziati delle fanciulle parigine... Fin da subito avevo eletto Baudelaire come il più grande di essi, il poeta che aveva persino dedicato un sonetto alla pipa. Allora mi era sembrato solo un bel componimento in versi, scritto da un fumatore sull’oggetto di quella che sarebbe diventata, dopo alcuni anni, per me una vera e propria passione. Successivamente accadde che, già da un po’ di tempo apprendista pipatore, affrontai con maggior attenzione l’opera di un altro poeta dell’epoca, Tristan Corbière, e mi accorsi che in precedenza mi era sfuggito, o passato quasi inosservato, forse perché all’epoca insignificante, il migliore scritto in versi, a mio giudizio, sul fumo di pipa. “La Pipa al Poeta”: un gioiellino che ogni fumatore dovrebbe conoscere. Santi numi! L’autore aveva saputo rappresentare, nel giro di pochi versi, l’effetto terapeutico della pipa, quello calmante, rilassante e, perché no, taumaturgico in modo così intenso da risultare indimenticabile. Il fumatore di pipa rappresentato, forse l’autore stesso, uomo tormentato da fantasie e pensieri, da un oscuro male interiore, trovava finalmente la pace all’interno della fumata, come uno stato di grazia in cui ogni dolore era anestetizzato e ogni male allontanato da una speciale medicina. La sua natura passionale e tempestosa, inquieta e mai doma, veniva addormentata dal ritmo che questo oggetto richiede, come solo riesce a fare un incantatore di serpenti con un cesto pieno di cobra. Alla fine il rito era compiuto, il tabacco bruciato, il fumo esalato e disperso in cielo e, con esso, tutto il male. Inutile dire che quella chiusa folgorante, costituita dagli ultimi due versi, mi lasciò letteralmente a bocca aperta. Ancora oggi mi fa lo stesso effetto, rileggendola a qualche anno di distanza. Per questo motivo ho piacere di condividerla con voi.
La Pipa al Poeta
Sono la pipa di un poeta, la bàlia che addormenta la sua Bestia. Quando i ciechi fantasmi vengono a sbattere sulla sua fronte, io fumo... E lui, dentro la testa, non può vedere le sue follie. ... Gli porto un cielo, delle nuvole, il mare, il deserto, i miraggi; - E lì lascio errare il suo occhio morto... E, quando pesante si fa la nuvola, gli sembra di vedere un'ombra nota, - E lo sento mordere il mio cannello... - Poi un altro vortice gli scioglie l'anima, la gogna, la vita! ... E mi sento spegnere. - Dorme - . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - Dormi ancora: la Bestia si è quietata; segui il tuo sogno fino in fondo... Povero!... Il fumo è tutto. - Se è vero che tutto è fumo.
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